domingo, 9 de junho de 2013

A tanti anni dalla scomparsa, di Senna non restano solo cifre e imprese, ma frammenti d’umanità, inedita, calda e preziosa. Che AS vuole ricordare


Nelle corse e nella vita le belle storie non finiscono mai. Certo, il cantante Jim Morrison a una frase così avrebbe risposto con parole migliori. Le sue: a volte basta un attimo per cancellare una vita, altre volte non basta una vita per cancellare attimo. Ayrton Senna se n’è andato al Tamburello, al 7° giro del Gp di San Marino a Imola, il 1° maggio 1994, ore 14 e 17, ma a tutti noi non sono stati sufficienti tre lustri né quant’altro per dimenticarlo. Perché scoveremo sempre nell’anima l’inseguimento a Prost di Monaco 1984, l’urlo di Ayrton disperatamente liberatorio a Interlagos 1991, la fuga per la vittoria di Donington 1993. Solo alcune tra mille schegge balenanti dell’epopea d’un campione che è anche l’antologia preziosa della nostra storia d’amore con le corse. Da qui l’idea, la voglia di dire per una volta ancora, quindici anni dopo, che non è finita tra noi e lui e che emozionalmente non finirà mai. Insieme a quattro amici suoi e nostri, gente che lo ha capito, respirato come pochi altri e che ora vuole e può farcelo magicamente percepire accanto. Perché quando si ama davvero, nulla finisce mai. 

Stefano Modena ha 46 anni, 25 dei quali nelle corse. Ha vissuto Ayrton dall’alfa all’omega, dal kart alla F. 1. "La prima volta nel ’76, in un mondiale karting all’Estoril, poi a Jesolo, io 1° lui 2°. Sì, abbiamo litigato. In una gara lo spintono per innervosirlo, ma lui vince. Alla bilancia mi fa: “sei un bastardo, uno stronzo”. E io da ignorante: “Sbagli”. Sai cosa? Lo rifarei. Perché c’era invidia che fosse così veloce. Poi ’sta cosa è sparita. Batterlo mi ha guarito. è la vita a essere così». 



MAI IRIDATO IN KART 
Vita crudele, per Senna in kart. Mai iridato, re senza corona, come Stirling Moss in F. 1. Perché?Circostanze inspiegabili - fa Modena -. Nel ’79 in Portogallo poteva vincere, ma non andò così, l’anno dopo a Nivelles fu 2°. Gli seccava, sì. Per lui il 2° era il più beffato dei perdenti. Senna kartista, con la tuta monopezzo in pelle. "Era poco approcciabile e, se lo era, lo era solo nel suo entourage. Tipo molto riservato. E sai perché? Quando corri parli e meglio è. Primo, perché potresti essere mal interpretato, secondo, perché potresti farti sfuggire suggerimenti che ti rendono vulnerabile. Infatti diventammo amici solo quando lui passò alle auto e io entrai alla DAP, la sua squadra in kart. Tornava spesso per fare test. Mi fratturai una gamba, venni in pista con le stampelle, lui mi vide e mi restò vicino. Persi l’equilibrio, stavo per cadere e Ayrton con uno slancio inaspettato mi aiutò. L“ siamo diventati amici davvero. Poi facevamo anche footing insieme, era un maniaco di fitness, mi massacrava». 
Intanto il brasiliano sfonda con le auto. Prima in F. Ford, poi in F. 3 britannica, dove il rivale nel 1983 è Martin Brundle. Sentiamolo: «La verità è che il 1983 lanciò la mia carriera più che la sua. perché lui grande era già. Uno straordinario talento naturale. C’è una storia che lo fotografa in modo quasi inquietante. Siamo a Silverstone F. 3, gara bagnata. Prima fila, io e lui. Parto bene, sono primo. Arriviamo alla Stowe. Vado in traiettoria-scudo, mi difendo, resto all’interno, mentre lui va tutto non sarebbe logico buttarsi, perché c’è sporco. Resto piantato, perché all’interno la pista è in realtà più scivolosa, così lui mi passa all’esterno e se va. Ma piove sempre più e danno bandiera rossa. Okay, capita la lezione, non mi freghi più, Ayrton. riparte, risono in e arriviamo alla Stavolta decido di stare all’esterno, ma mi pianto in una mega-di strada. Lui ha già scelto l’interno, mi sfila di nuovo e se ne va. Niente da fare: vince. Sul podio non ho pace e gli chiedo perché mai alla Stowe mi ha di nuovo fregato: “Ayrton, come potevi sapere che la seconda volta era meglio andare dov’era peggio la prima?! ”. “Istinto - mi rispose -. Il grip ideale si era invertito. Istinto” - ripetè sorridendo. Capii che non l’avrei mai più battuto, uno così». 



DEB IN F. 1 SU TOLEMAN 

Gara di F. 3 di contorno al Gp inglese 1983. Puntuale battaglia con Brundle, solita vittoria. Dopo la premiazione Senna picchetta la spalla di un omone riccio e biondo che di solito gira i paddock con una specie di mitragliatrice stile Django, pronto a giurare che sia l’obbiettivo di una macchina fotografica. Il suo nome è Angelo Orsi. presentarli è Andrea Ficarelli. Ayrton è gentile ma spiccio: «Ci sono decine di giornali, radio e reti tv brasiliane vorrebbero seguirmi sulle piste, ma non hanno mezzi per farlo. Io l’anno prossimo sarò in F. 1 e se tu mi garantisci un’adeguata copertura fotografica in modo che possa rifornire tutti, per me sarebbe l’ideale». Un sorriso, una stretta mano e inizia un’amicizia profonda. Un rapporto del quale Angelo fino a oggi non ha mai voluto parlare, quasi lo custodisse in uno scrigno segreto. Ma un vero Cuore da Corsa prima o poi si apre. «L’anno dopo Ayrton in F. 1 ci arrivò con la Toleman. Ogni giovedì pre-Gp facevo un giro di pista a piedi, a rovescio, per carpire le posizioni più belle e furbe per scattare foto e Senna prese l’abitudine di venire con me. Studiava ogni centimetro, lo sezionava. A Montecarlo facemmo quattro giri a piedi, forse più. Alla fine, al Loews, divenne serio e disse: “Angelo, io domani faccio il miglior tempo”.
Libere iniziate da mezzora. L’altoparlante gracchia, lo speaker si schiarisce la voce, quasi per dire qualcosa d’inatteso, ma io so già cosa: “Miglior tempo, Senna su Toleman!”. Palpava l’asfalto, sentiva la consistenza di ogni via di fuga. In Australia, nel 1985 con la Lotus, tamponò Rosberg, ma riuscì a uscire dalla sabbia dell’ultima curva. “Visto? - mi disse a fine gara - avevo notato mentre passeggiavamo che la sabbia era così consistente da non impantanarmi, così ho sfruttato la cosa». 

Aveva qualcosa più degli altri. E non solo in pista. Fu il primo ad assumere una “pierre”, Betise, futura moglie di Patrick Head, che gli organizzava i rapporti con la stampa. Ayrton non voleva filtri, ma solo pianificazioni. A fine gara faceva conferenze stampa in inglese, italiano e portoghese e a tutti dava repliche meditate e vere. E se una domanda era complessa, rispondeva: “Un momento, questa alla fine”. Arrivava al termine del discorso, tutti se ne stavano per andare, ma lui li fermava, dava la risposta mancante e di solito era la battuta del giorno».  



ECCO QUANTO VALE L’UOMO 
Personaggio, talento mediatico, telescopico poliglotta, okay. Ma chi era Ayrton nel privato? Angelo deglutisce prima di rispondere: «Un uomo che per le corse aveva sacrificato la famiglia e che tendeva a ricostruire nuclei che gli potessero dare lo stesso calore, delle triadi affettuose. Il telecronista brasiliano Galvao Bueno era il Pappagallo, io il Tucano - per il naso -, lui Dumbo, per le orecchie. Oppure c’erano i Tre Porcellini, ossia lui, già in F. 1, io e Mauricio Gugelmin con cui divideva un loft in Inghilterra. Via dai circuiti Ayrton non era una star inavvicinabile, ma uno studente fuori sede che cercava il calore di una famiglia. Mi veniva a trovare a Bologna e stavamo sere intere davanti alla Tv con le vhs di vecchie corse, o si usciva con Carlo Cavicchi a vedere il basket al PalAzzarita. Una sera, febbraio ‘89, si giocava Virtus-Caserta e nell’intervallo volle conoscere Oscar Schmidt, suo connazionale. Altre volte lo andavo a prendere all’Hotel Castello di Imola per andare a osterie e poi passeggiare in Piazza Maggiore».Fine 1987. Ayrton, 27enne, lascia la Lotus per la McLaren. Ha l’iride nel destino. L’anno dopo. In Australia quello stesso destino lo fa reincontrare con Modena, 24enne deb su Brabham. Insieme, come ai vecchi tempi del kart. «In albergo mi cercò lui. Era rimasto l’Ayrton di Parma e Jesolo, il ragazzo di sempre. “è dura, eh, Stefano? ” - mi disse, poi m’abbracciò. Un pilota lo pesi in pista, ma giudichi da cose come queste quanto vale l’uomo». 



«Valeva tanto - gli fa eco Angelo Orsi - perché sapeva valutare le cose che contano e gli stessi avversari con onestà intellettuale». «Parliamo della rivalità con Prost  - ammicca Modena -. Gli rosicava eccome, ma la sua analisi era chirurgica: Prost pilota lo stimava. Era il Prost uomo, quello che muoveva i capi del team come pedine una volta uscito di macchina, che non sopportava. Il Prost con amicizie potentissime, tipo quella con l’allora presidente della FIA, Balestre». Spietato, ma mai sbracato»  chiarisce Orsi: «Quando nel ’92 Piquet si maciullò le gambe a Indy, Ayrton, che provava a Imola, chiamò Ascanelli per farsi accompagnare in chiesa, a pregare per Nelson. E guarda che lui contro Senna aveva detto per anni di tutto e di più».  È vero che Senna non chiamava mai Prost per nome, quando in privato parlava di lui? Angelo sorride sotto i baffi, si vede che è una vita che ha voglia di dirlo: «Lo definiva “il Francese”. E lo diceva con un tono che sembrava il fruscìo di un rasoio nell’aria». 

IL RICORDO DI RAMIREZ 

Alla McLaren forse il solo neutrale alla rivalità Senna-Prost fu il messicano Ramirez, team coordinator e monumento della F. 1 che fu. Un Cuore da Corsa più che mai, Jo: «Senna era un vincente. Sarebbe stato architetto di grido, chirurgo di fama, stella del cinema, ma mai un perdente. E mai in Brasile. Un anno in gara a Interlagos tornò ai box, con una disastrosa accelerata. Scese e se ne andò. Ritirato. Una selva di microfoni spuntò sotto di me: “Cos’ha fatto Ayrton? ”. “Non lo so, la macchina andava bene”- risposi. Intanto Senna era già via dal circuito e alla radio sentiva in diretta le mie parole. Mi telefonò poco dopo, inferocito: “Jo, come ti sei permesso di dire quelle cose?! ”. “Okay - gli replicai -, non m’hai detto nulla, quindi non ti puoi lamentare”. Ci pensò su, poi rise. Finì lì. Il suo motore non prendeva i giri e Ayrton non voleva arrivare al traguardo sconfitto, a casa sua. Questo era Senna. Di corse ne ho viste tante, ma lui fu il primo a spingere così sull’identità nazionale, facendo i giri d’onore con la bandiera brasiliana». Il suo errore più clamoroso fu l’uscita alla curva del Portier, a Montecarlo ’88 - tracciato su cui di 10 corse ne ha fatte sue 6 -, buttando via una gara già vinta: «Un calo di concentrazione - chiosa Orsi -.Ci vedemmo la sera, era inviperito. Disse, semplicemente: “Okay, non succederà mai più”.E così fu». 



RETROSCENA A SUZUKA 
Angelo ha vissuto 
dietro le quinte Suzuka 1989 e 1990, i duelli da Ok Corral tra Senna e Prost: «Nel 1989 era furibondo della toccata alla chicane. Gliela giurò. L’anno dopo lo buttò fuori alla prima curva. Ayrton era in pole, ma il poleman partiva dalla parte sporca. Così fece il diavolo a quattro per farsi spostare, ma non gli dettero ascolto. Okay, partono e io sono lì alla prima curva che li aspetto: Prost lo frega, logico. Bene. Bang!, Ayrton lo caccia fuori ed è iridato per la seconda volta. La sera ci vediamo e mi fa: “Il Francese sapeva che se partiva meglio di me alla prima curva io gli andavo dentro. Ha sbagliato lui, lui solo, perché mi ha messo in condizione di rendergli quello che era sacrosanto gli restituissi”»
«Momento - fa Modena - la peggior umiliazione Senna l’ha inflitta a Prost a Donington 1993, quando tutti e due erano tricampeao. Sverniciandolo nel diluvio, con una McLaren inferiore alla Williams. E occhio, nell’immaginario collettivo quel trionfo conta più del quarto titolo vinto da Prost».Continua il tema Ramirez«Adelaide 1993, l’addio di Senna alla McLaren. In griglia lo saluto, è la fine di una grande parentesi di vita. E da puro neo-latino gli dico: “siamo a pari successi con la Ferrari, Ayrton: se vinci questa, ti amerò per sempre”. Gli vennero gli occhi lucidi, a un minuto dal via. Pensai: “Jo, che hai fatto?! Mai rendere emotivo un pilota prima della partenza. Che cavolata... ”. Ma Ayrton vinse. Imprendibile, spietato. La sera andammo al concertone di Tina Turner. Lei lo chiamò sul palco e col pubblico in visibilio gli dedicò il pezzo “Simply the Best”. perché lui questo era. E i record di Ayrton che Schumi ha poi battuto sono cifre bugiarde, perché i numeri mentono, a volte. Con Ayrton vivo non sarebbe successo». 



Brundle rincara la dose: «Prost non mi è mai piaciuto, ho corso con Senna in F. 3 e in F. 1, di Schumi sono stato compagno di squadra in Benetton. E penso che Michael stia dietro a Senna e di molto. Ayrton era campione nato, un emozionale, Michael un puro calcolatore». Imola 1994. Senna è a quota zero con la Williams, Schumi su Benetton in orbita nel mondiale. Il via, la fuga, lo schianto. La fine. La fine? «Il crash lo ebbe davanti a me - racconta Orsi -, il resto è noto. Ma nessuno sa che alla postazione 2 di Imola (ingresso Tamburello, ndr) Ayrton aveva lasciato una bandiera austriaca che avrebbe sventolato da vincitore in onore di Ratzenberger, morto il giorno prima. Meno noto che dopo l’incidente di Roland, Ayrton era andato a ispezionare la Tosa, beccandosi una reprimenda dalla Fia che l’aveva fatto imbufalire». 



Sì, il resto è cronaca. Umana, sportiva, processuale, fate voi. Racconta Ramirez: «Gli avevo noleggiato un elicottero, perché dopo il Gp sarebbe volato in Portogallo dalla compagna Adriane Galisteu. Domenica gli consegnai un biglietto col nome dell’elicotterista, lui mi guardò grato e mi strinse la mano forte forte. Era un addio», - sfuma Ramirez. «Dopo il crash sfrecciando al Tamburello si percepiva il rosso della pozza di sangue che aveva lasciato Ayrton. Fu terribile» - racconta Brundle. «Di lui mi manca tanto, tutto - dice Angelo Orsi -, ma c’è una cosa che rende questa storia ancor più dolorosamente spezzata. A inizio ’94 Ayrton mi aveva detto: “la prossima volta che vinco sali in macchina con me e facciamo il giro d’onore, così scatti foto alla gente che mi fa festa. Nessuno ha mai fatto una cosa del genere e voglio vedere l’effetto che fa”. Ora questa è la metafora di tutto ciò che di lui avrebbe potuto essere e purtroppo non è stato» -, chiude Angelo. Un giro di rallentamento aggrappati a lui. Con l’eco di un trionfo mai spento. Per affetto, senso della memoria condivisa, per una passione che brucia ancora. In fondo è quello che abbiamo appena fatto, qui ed ora. Per contemplare, come se quelle immagini esistessero davvero, un che di incancellabile.

Mario Donnini





FONTE: autosprint

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