16/03/2013
L'ex campione: "Meglio un pilota razionale e chirurgico che uno emotivo. Vettel è tra i grandi: mi rivedo in lui. Alonso? Senza un'auto competitiva non si vince"
Jackie Stewart è una presenza fissa ai Gran premi. Nel paddock lui e Vettel sono quelli che hanno vinto più titoli: tre a testa. Stewart, che in giugno compirà 74 anni, è stato campione tra gli anni Sessanta e Settanta. Lasciò la Formula 1 a 34 anni, dopo aver corso solo 99 Gp: saltò il centesimo, sconvolto dalla morte in qualifica del compagno di squadra Cevert. In seguito ha fatto il commentatore tv. Nel film sulla vita di Senna, viene redarguito dal pilota brasiliano durante un'intervista. Ieri ho incontrato Stewart a Melbourne e gli ho chiesto di quell'episodio.
Lei accusò Senna di aver causato troppi incidenti, lui si arrabbiò molto. Avete poi fatto pace?
"Sì, era una delle tante litigate. La più dura fu dopo lo scontro con Prost nel '90 a Suzuka. Gli chiesi di ammettere che l’aveva fatto apposta, non mi rivolse la parola per oltre un anno. Si rifece vivo ad Adelaide, prima del Gran premio di Australia. Si scusò e mi disse: "Jackie, tu hai fatto tanto per la sicurezza, devi darmi una mano". Da quella volta prese a chiamarmi due o tre volte a settimana. Diventammo amici: ero l’unico che poteva parlargli con schiettezza senza litigare».
Le differenze con i piloti d'oggi?
"Vettel lo metto tra i grandi. Non ho mai visto un ragazzo che a 25 anni unisse talento e maturità come lui. Non vorrei essere nei panni di Webber, che a 36 anni si trova un compagno di squadra tanto forte».
A chi lo paragonerebbe?
"A Jim Clark. E anche a me. Stessa mentalità casa e circuito. Sebastian non fa la vita da rockstar come certi suoi colleghi, e i risultati si vedono. Ha vinto tre Mondiali di fila con la stessa squadra: soltanto Schumacher in Ferrari ha fatto una serie più lunga».
Sono confronti importanti. Ci manca Senna...
«Senna no, troppo carico di emozioni. Questo era il suo limite: un grande talento portato a eccedere e di conseguenza a commettere errori. Se fossi stato un team manager avrei scelto Prost, che era chirurgico nella guida e nella condotta di gara. Molto più affidabile».
Di Hamilton agli esordi si parlava come di un nuovo fenomeno: secondo lei che gli è successo?
«Soldi, stile di vita. Certi manager trasformano i piloti in personaggi perché rendano di più dal punto di vista economico. Grave errore».
Alonso è un ragazzo riservato e tranquillo, non crede?
«Sì, ed è pure molto bravo. Ma devi avere una buona auto per dimostrare il tuo valore. Io con la Brm ai miei esordi negli Anni Sessanta non ho mai vinto il campionato».
Prost / Senna
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